Decisi di fare la psicologa già da ragazzina, quando interrogandomi su che tipo di lavoro avrei voluto fare da grande non avevo dubbi che volevo “capire le persone”.
Mi chiedevo spesso in cosa consisteva la sofferenza, perchè davanti alla stessa situazione le persone reagivano in modi diversi e in che modo le nostre storie e i luoghi in cui viviamo ci condizionano. Non volevo fare la “crocerossina”, volevo Capire.
Così al momento di scegliere la facoltà universitaria non avevo molte indecisioni: mi sarei iscritta a psicologia! Il primo “dubbio” lo ebbi sulla scelta del percorso formativo perchè scoprii che ci sono ta
ntissimi tipi di psicologo (neuropsicologo, psicologo del lavoro, psicologo infantile, ricercatore, dinamico, analista, comportamentista, relazionale, sistemico, sessuologo, ipnologo, psicologo scolastico, psicologo dell’emergenza…) e non avevo bene chiaro che tipo di psicologa sarei diventata.
Tuttavia mi iscrissi a psicologia dello sviluppo: mi piaceva l’idea di considerare la persona come essere in divenire, in crescita e cambiamento di se stesso.. inoltre mi piaceva approfondire la psicologia infantile.
Dopo pochi mesi mi sentivo come un’affamata che vedeva per la prima volta il cibo.. studiare mi piaceva, volevo “assaggiare” tutte le materie e fare più esperienze possibili.. Allora decisi di partecipare a un bando per un progetto all’estero e lo vinsi. Partiì per Malta dove fui inserita in un progetto sulla disabilità infantile, conobbi una realtà diversa, lavorai nel sostegno scolastico e mi interfacciai con bambini e famiglie.
Al rientro in Italia conseguii la laurea triennale e dopo pochi mesi mi iscrissi alla specialistica in Clinico Dinamica ad indirizzo Relazioni Familiari che conclusi laureandomi con Lode in una calda giornata d’estate.
Pochi giorni dopo mi chiamarono al Policlinico Universitario di Padova per continuare la formazione come tirocinante post laurea presso il dipartimento della Salute della Donna e del Bambino. Successivamente vinsi un bando per la ricerca nell’ ambito dei disturbi dell’apprendimento presso la Clinica Genetica. Mi iscrissi all’Albo e iniziai la libera professione.
Ma non sentendomi stanca di apprendere mi iscrissi alla Scuola di Specializzazione in Terapia Sistemico Relazionale e poi frequentai l’Accademia Nazionale di Ipnosi Clinica Rapida dove mi diplomai Ipnologa.
Ma la cosa più incredibile e straordinaria del mio lavoro è il coinvolgimento e la passione che bisogna avere dentro per poterlo fare. Ogni persona è diversa dall’altra, ogni colloquio richiede concentrazione, memoria, sintonia, ma sopratutto curiosità.
Non si può pensare “questa cosa l’ho già vista” oppure “ si fa così” perchè nella complessità dell’essere umano semplificare significherebbe ridurre e ridurre porterebbe a tralasciare alcuni aspetti, inevitabilmente importanti, quegli aspetti che caratterizzano e contraddistinguono l’individuo e che potrebbero racchiudere le sue risorse.
Molte persone arrivano in seduta sofferenti, raccontandomi il loro percorso di vita, le loro emozioni e la grande confusione che spesso li disorienta.
Il mio ascolto è sincero e la curiosità mi rende non giudicante: non do consigli, cerco di capire e di aiutare la persona a ritrovare le sue forze, ad affrontare quelli che appaiono come ostacoli con nuovi strumenti e nuove emozioni, a riprendere in mano la propria vita.
“Di relazioni ci si ammala, di relazioni si guarisce” (Cit. Patrizia Adami Rock)
Con il terapeuta si instaura un rapporto nuovo, diverso che permette di sbloccarsi ed andare avanti restando se stessi, ma con un benessere maggiore.
Ma… anche dall’altra parte non si è indifferenti alla vita delle persone che abbiamo in carico. Quali sono le emozioni che prova lo psicologo in terapia?
Le stesse che prova un essere umano che incrocia le emozioni di un’altro essere umano. Spesso analizzando come ci si sta in relazione con un paziente possiamo riflettere su come quella persona si sente e su che impressione vorrebbe che noi avessimo di lei (proviamo protezione perchè si sente fragile? amicizia perchè ha bisogno di sentirsi meno sola?).
Tutto quello che accade in quella stanza per me è fonte di riflessione e considerazione. La seduta non dura 60 minuti, si riflette continuamente sui racconti del paziente, si cercano spunti, si legge tanto per tenere la propria mente aperta e sopratutto si fanno supervisioni per garantire un rapporto sempre neutrale e mai viziato.
E si fa terapia personale, perchè spesso la relazione che si instaura in terapia ha delle risonanze che possono suonare delle corde del nostro privato per cui è fondamentale che lo psicologo tenga distinte le sue emozioni e i suoi vissuti da quelli del paziente.
In conclusione.. beh, non c’è una conclusione, se sei una psicologa non sei mai “arrivata” ad un “punto e a capo”, studi continuamente, ti metti sempre in discussione, non puoi “adagiarti” ed inevitabilmente il tuo lavoro diventa un po’… la tua vita.